La notizia è shockante. Una donna americana di 22 anni, Alexandra V. Tobias, si è dichiarata colpevole di omicidio di secondo grado per aver ucciso suo figlio, di soli tre mesi. Ha raccontato che era arrabbiata perché il bambino continuava a piangere, disturbandola mentre lei stava giocando a FarmVille.
Colpa di FarmVille? Di sicuro non in modo diretto: in questo caso come in altri del passato, non si può attribuire la responsabilità di attacchi di violenza a un videogame in quanto tale – tanto più che FarmVille, per chi non lo sapesse, è un gioco di Facebook che simula la vita di campagna, tra coltivazioni e allevamenti di bestiame. Nessuna violenza di alcun genere, la classica accusa rivolta ai videogame.
Il problema, qui, è quello della dipendenza, dell'ossessione che fa emergere o scatena comportamenti malsani: un fenomeno che pare stia assumendo proporzioni sempre più vaste. In questo senso FarmVille, pensato per incollare la gente allo schermo il più a lungo possibile (come tanti videogame simili), può probabilmente generare questo tipo di dipendenza in alcune persone "predisposte", già portatrici di altri problemi psicologici.
La cronaca riporta spesso casi diversi nella meccanica, ma analoghi nella matrice. Tra i più noti: il ventenne francese che ha accoltellato un rivaleche lo aveva battuto in un gioco online, il giocatore cinese che è stato condannato all'ergastolo per aver ucciso un amico che gli aveva venduto su eBay una spada virtuale, il quattordicenne russo che ha ammazzato il padre a colpi di martello solo perché gli aveva sequestrato la tastiera per impedirgli di giocare.
Anche in Italia non ci siamo fatti mancare storie preoccupanti, come quella del sedicenne ligure ricoverato a forza per la dipendenza da PC, dopo aver riscontrato in lui il pericolo di comportamenti violenti
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